Uskok 20
USKOK 20
Jolanda aveva perso il marito ed un
fratello in Galizia: entrambi erano arruolati nel Novantasettesimo reggimento.
Quando, quasi al termine del conflitto, scoppiò la rivolta, l’ammutinamento a capo del quale si distinsero Liberato, un
goriziano e tre slavi, Egidio decise di approfittarne, la situazione era caotica,
per disertare abbandonando la caserma di Radkersburg e raggiungere l’Istria facendo ritorno a casa. Ogni mattina nel cortile
del castello arrivava un anziano sloveno per rifornire le cucine ed il giovane soldato si accordò con lo slavo
per ottenere, naturalmente di nascosto, degli abiti civili. Si procurò tutto
quanto gli occorreva tranne le scarpe che non riuscì a reperire, gettò nel
fiume la divisa e, durante la libera uscita, si incamminò verso sud senza
sapere di preciso come avrebbe potuto raggiungere la penisola. Non era comunque
cosa da poco, una lunga trasferta che, per evitare brutte sorprese, avrebbe effettuato su vie secondarie poco
battute e sicuramente non agevoli.
Qualche piccolo aiuto lo ottenne prima
vicino a Marburgo, che in verità non era molto distante dal punto di partenza e
successivamente a Celie, ma da qui sino a Postumia soffrì grandemente la fame
ed il freddo perché era iniziato da parecchi giorni l’Autunno.
La gente della Carniola non si
sorprendeva ormai più per le frequenti diserzioni dall’esercito specialmente dopo che iniziarono a circolare le voci su un imminente crollo dell’impero. Le
truppe ed i loro comandanti erano come
ingessati in una sorta di limbo in attesa che qualcosa, nel bene o nel male,
accadesse e parecchi militari tentavano di far ritorno a casa accompagnati dal terrore di incappare in qualche retata.
Comunque Egidio era quasi certo di poter
raggiungere la sua Istria in una quindicina di giorni e, dopo aver vagato in
territori sconosciuti girando praticamente a vuoto, riuscì ad imboccare la via
più conveniente per raggiungere Postumia e da lì a San Pietro e Bisterza. Qui giunto,
avrebbe potuto contare sull’aiuto di alcuni amici fidati facendosi magari accompagnare sino al monte
Maggiore: dalla locanda Peruzzi al suo paese erano pochi chilometri tutti in
discesa. Rimediato un passaggio e superato il valico grazie ad un
provvidenziale e traballante carro agricolo, si mise a correre giù per la china
abbandonando, ma solo per poco, ogni
prudenza poi ritornò a farsi guardingo perché i pericoli non erano per nulla
cessati e non voleva correre il rischio di farsi scoprire proprio nell’ultimo
tratto di strada. Aurania, il suo paese, era lì sotto e vi sarebbe arrivato a
notte fonda sgusciando come un ratto nella casa di un fratello, la prima che
s’incontrava scendendo dal monte.
Procedette dunque con prudenza tagliando
per i boschi e le campagne. Stava per finire il mese di Ottobre e l’impero era
ormai sull’orlo del collasso, ma lui come avrebbe potuto saperlo? Ancora temeva
i provvedimenti di quegli ufficiali che gli avevano tolto la libertà per parecchi anni mandandolo a
combattere in luoghi lontani al confine con la Russia.
Evitava anche le case più isolate: se
scorgeva qualche persona in lontananza andava a rifugiarsi in qualche anfratto
tremando di paura. La fame gli stava però offuscando la vista per cui, facendosi
per un attimo spavaldo, si avvicinò al pollaio di una piccola abitazione posta
lungo un sentiero secondario che scendeva ripido verso un ruscello. Jolanda
viveva lì ed era rimasta sola dopo la morte del marito in Galizia. Coltivava,
per quel che le era possibile, un piccolo terreno sul pendio ed allevava
qualche capra e qualche pollo che le consentivano di non morire d’inedia. La
notizia del crollo dell’impero e della conseguente smobilitazione era arrivata anche
da lei senza che nessuno se ne meravigliasse: gliela avevano riferita due dipendenti
del Dopolavoro Peruzzi che ogni mattina salivano alla locanda. Quando la donna si accorse della presenza di Egidio presso il
pollaio immaginò subito che fosse un disertore
ancora ignaro del crollo dell’impero. Le sue scarpe, simili a quelle
calzate dal marito nel giorno in cui
glielo avevano riconsegnato per le
esequie erano lì a confermarlo. Decise di trarre profitto dalla situazione e,
avvicinandosi all’uomo con fare minaccioso e notando come fosse intimorito
dalla sua presenza, gli si fece sotto apostrofandolo in malo modo: “ Un altro
delinquente che non ha tenuto fede al giuramento fatto all’imperatore! Non
permetterti di toccare le mie galline né di entrare nel mio orto”. Poi proseguì
con tono più conciliante: “ Se hai fame
ti darò qualcosa da mangiare, sono una buona cristiana, ti offrirò la cena e ti
fornirò un riparo affinchè tu possa schivare la terribile punizione che spetta
ai disertori. Vi stanno cercando ovunque, anche ad Aurania, quindi non metterti
in testa strane idee. Il paese qui sotto
è presidiato quasi fosse un centro importante e da Pisino stanno arrivando
nuovi rinforzi.” La povera donna aveva supposto di poter disporre a proprio
piacimento del militare che temeva di essere fucilato e per questo tremava come
una foglia: gli avrebbe fatto dissodare un terreno a gradoni che lei proprio
non riusciva a coltivare e, nel limite del possibile, l’avrebbe trattenuto presso la propria
abitazione per altri piccoli interventi
di manutenzione del tetto e del recinto degli animali. Egidio
accettò di buon grado ed il mattino seguente si mise subito all’opera
ringraziando Jolanda per averlo salvato da morte sicura. La strada del monte
non era molto battuta specialmente avvicinandosi l’Inverno: le corriere per
Fiume, alcune scolaresche in gita, gli abituali frequentatori della locanda ed
alcuni contadini che si recavano in città o ad Abbazia per vendere i loro
prodotti.
La casa di Jolanda era quasi invisibile
dalla strada principale ed il sentiero s’arrestava dietro il vecchio pollaio in
parte contornandolo per poi terminare in
un prato incolto cosparso di roccette.
L’isolamento di Egidio, a pochi minuti da casa, durò poco
più di un anno. Egli avrebbe voluto raggiungere Aurania, la casa del fratello ed
in seguito quella della madre, ma Jolanda ogni volta lo tratteneva inventandosi
nuove bugie per intimorirlo sconsigliandogli
un’avventura che poteva essergli fatale. Il dissodamento del terreno in
pendenza era ormai concluso ed il giovane aveva anche apportato delle migliorie
alla casa ed al recinto delle capre. Un giorno però, vinto dalla nostalgia ed
abbandonata ogni prudenza, si spinse molto più a valle sino ad uno sperone di
roccia da cui poteva abbracciare con lo sguardo il proprio piccolissimo paese.
Si sedette su un tronco d’albero caduto e subito intravvide un movimento sospetto
tra le basse siepi che caratterizzavano quella zona. Si ritrasse impaurito ma
poi, osservando meglio, riconobbe il proprio cane che, trafelato e con la
lingua penzoloni, tentava di raggiungerlo inciampando: chissà come era riuscito
ad individuarlo! Insieme si portarono verso la casa di Jolanda che stava
stendendo il bucato presso il recinto. E’ sorprendente come possano reagire le
persone che si sentono in colpa quando temono di esser state scoperte: la donna
immaginava, anzi aveva la certezza, che Egidio si fosse spinto in paese ed avesse
recuperato il suo cane ricevendo, nel contempo, quelle notizie che lei gli
aveva tenute nascoste. Quindi sentì il dovere di scusarsi, di giustificarsi con il giovane soldato per l’inganno: si fece
piccola piccola e umile umile: in fin dei conti era sola, anziana ed indifesa.
Davanti a quella reazione che non si aspettava ed apprendendo come non fosse
più ricercato ed anzi passibile d’encomio grazie alle mutate condizioni
politiche, Egidio per la felicità non ritenne opportuno replicare, non se la
prese e, seguito dal fedele compagno a quattro zampe che gli scodinzolava di
fianco, s’incamminò in discesa lungo la statale sessanta fischiettando un’arietta
appresa durante la lunghissima ferma a Radkersburg: “Demoghela, demoghela”: il
suo reggimento si era disintegrato, ma il senso di appartenenza e la
solidarietà con i commilitoni era rimasta. Suo malgrado e senza merito alcuno,
era diventato un eroe e la sua fuga da
Radkersburg veniva ora interpretata come un’opposizione all’impero: a lui non
rimaneva che sfruttare una circostanza favorevole che l’avrebbe in parte risarcito dopo tante tribolazioni. Era fuggito
dalla caserma solo per paura, per non andare incontro a morte certa perché la
fortuna l’aveva assistito la prima volta, ma era da stolti ipotizzare che ciò potesse ancora verificarsi. Piccolo
uomo di modeste pretese desiderava solo salvare la propria pelle e ritornare a
casa da mamma e fidanzata. Aspirava ad
una vita tranquilla e serena nel luogo in cui era nato ed avrebbe voluto
crescere i propri figli. Ad altri il compito di manipolare la realtà stravolgendola secondo la convenienza del momento, ma una
situazione favorevole andava sfruttata senza dare spazio ad assurdi sensi di
colpa.
Commenti
Posta un commento