Uskok 19
USKOK 19
Concettina era originaria di Balestrate,
un bel paese affacciato sul golfo di Castellammare. Come tante altre ragazze siciliane aveva
conservato i tratti somatici
caratteristici degli antichi normanni: era infatti alta, bionda e con
due stupendi occhi azzurri. I ragazzi la puntavano sin da quando, ancora adolescente,
si era iscritta al primo anno delle scuole magistrali di Palermo e forse anche
da prima.
Non ancora diplomata aveva iniziato a
frequentare, di nascosto dai propri genitori, un coetaneo di un paese vicino: si incontravano
di sfuggita in città confondendosi tra gli altri studenti e si appartavano in
qualche luogo isolato in attesa del torpedone che li avrebbe riportati a casa.
Malgrado questi fuggevoli incontri, con la paura di essere scoperti e puniti,
si erano fatti delle promesse impegnative ed attendevano l’occasione opportuna
per rivelare ai rispettivi genitori le proprie intenzioni.
Visto però che le cose andavano per le
lunghe, i giovani non hanno troppa pazienza
e dopo essersi entrambi diplomati, studiarono un piano per mettere
dinanzi al fatto compiuto le proprie famiglie: che non iniziassero a
massacrarli con i soliti argomenti triti e ritriti circa la loro età e la
conseguente esigenza di costruirsi una solida base economica prima di accennare
al matrimonio! Concettina aveva saputo che, trasferendosi come maestra in una
delle nuove province italiane, le cosiddette terre irredente che erano diventate
redente, avrebbe ottenuto un punteggio alto nella graduatoria del
provveditorato. Dal canto suo Carlo Salvatore era riuscito a farsi assumere in
posta ed aveva immediatamente chiesto il trasferimento a Fiume, dove cercavano
dei cassieri.
Il piano avrebbe anche potuto funzionare
se non fossero intervenuti alcuni ostacoli che né Salvatore, né Concettina
avevano previsto: loro ritenevano che tutto sarebbe filato via liscio e che, in
attesa di un regolare matrimonio riparatore, avrebbero potuto convivere lontano dalle loro famiglie in una terra, a
torto o a ragione, più emancipata per cui nessuno avrebbe fatto caso alla loro
condizione.
Ma le cose andarono purtroppo in maniera
diversa: Carlo Salvatore fu destinato a Fiume proprio come desiderava, ma a
Concettina assegnarono un posto di supplenza, solo per un biennio, in una
scuola di Pisino.
La località nel centro dell’Istria ed il
porto sul Quarnaro non sono molto distanti, ma occorreva scavalcare il monte
Maggiore per passare dall’interno della penisola al mare Adriatico. Guardando
la cartina geografica tutto appariva semplice, ma la realtà, era purtroppo diversa.
Pisino e Fiume distavano una sessantina
di chilometri, forse qualcosa di meno, da percorrersi su strada abbastanza ben
tenuta, la statale sessanta che, passando sotto il castello in rovina di Passo
e scavalcata la montagna, scendeva a
Mattuglie. Un tragitto però lento
soprattutto in caso di pioggia o neve, pieno di curve e controcurve da
affrontare con prudenza. Esisteva un servizio di linea con poche corse giornaliere: i torpedoni partivano dalla
piazza principale del centro sulla Foiba per raggiungere la zona del porto
quarnerino dopo aver fatto una breve sosta dinanzi all’osteria dei Peruzzi, uno
storico ritrovo situato a quasi mille metri di altezza in prossimità della cima
del monte Maggiore raggiungibile a piedi con un sentiero.
Concettina ogni giovedì, essendo le
scuole chiuse, prendeva la corriera e si recava a Fiume per incontrare l’amato
Salvatore. Egli smontava dal lavoro a metà pomeriggio per cui
potevano rimanere assieme per un
paio d’ore in attesa dell’ultima corsa per l’interno. Era naturalmente una
soluzione provvisoria in attesa che la ragazza trovasse una sistemazione più
prossima alla città: aveva infatti inoltrato parecchie domande alle scuole
pubbliche e private, oltre che del porto sull’Adriatico, anche di Laurana,
Abbazia, Castua e financo delle isole. Aveva preso in considerazione anche
qualcosa di diverso dall’insegnamento pur di non allontanarsi troppo
dall’amato, ma per il momento la situazione era questa.
In quel periodo Marcello, il figliastro
di Catina che gestiva la trattoria in
centro a Pisino, si era fatto assumere dalla società di autolinee che gestiva
la tratta del monte Maggiore. Riusciva così a rimanere lontano da casa per la
maggior parte della giornata: pur non essendoci validi motivi ed a differenza
della sorella non aveva mai legato con la propria matrigna e l’ultimo suo
desiderio era quello di collaborare all’impresa di famiglia anche se il padre
aveva più volte tentato di fargli cambiare idea perché, a conti fatti, avrebbe
lavorato per un’attività che, col tempo, sarebbe diventata sua e della sorella.
Le prime volte che incrociò Concettina
Marcello non ebbe il coraggio di disturbarla visto che lei si sistemava in
fondo alla corriera con un’aria leggermente spaesata ed uno sguardo non proprio
amichevole poi, preso il coraggio a due mani e credendola originaria della
zona, le si rivolse in dialetto, ma lei non capì o, secondo lui, fece finta di non capire. Quando il ragazzo
comprese il suo errore e ascoltò per la prima volta quell’accento strano, Concettina si era
rivolta ad un vecchio per chiedere delle informazioni, corresse immediatamente
il tiro. Settimana dopo settimana, mese dopo mese i due continuarono a vedersi
sul torpedone: la ragazza non rimaneva più in coda al mezzo, ma si sistemava di
fianco all’autista che la intratteneva con interessanti racconti sulle
abitudini locali e con gustosi aneddoti. Un giovedì, per esempio, le raccontò
la triste storia del vampiro Grando da Corridico, che era originario di quel
paese poco distante da Pisino e Concettina ne fu grandemente impressionata. Marcello
passava senza soluzioni di continuità da
un ottimo italiano, magari un po’ ricercato se non addirittura arcaico, al
dialetto istriano aggiungendo colorite espressioni che la ragazza si faceva
tradurre. Lei aveva constatato, già nei primi giorni del suo
arrivo a Pisino, che l’istro veneto la faceva da padrone, era la lingua franca
che tutti conoscevano, anche gli slavi delle campagne. In caso di necessità e
per meglio ribadire alcuni concetti si passava al dialetto croato. Questo
accadeva sia per gli autoctoni che per chi in quelle terre ci era arrivato da
altre zone e cercava di adeguarsi.
Se era possibile sostare all’osteria dei Peruzzi,
e succedeva spesso quando il torpedone era in leggero anticipo sulla tabella di
marcia, Marcello e Concettina entravano per un caffè o per farsi un panino col
prosciutto crudo del Carso. Appena però la corriera arrivava in città la
ragazza si dileguava senza dare spiegazioni ed appariva scossa ed ansiosa come
se si accingesse ad affrontare un impegno gravoso.
Il giovane non osava indagare, ma un
giorno la seguì sino in Riva e scoprì che lì lei s’incontrava con un giovane
con cui pareva avere grande confidenza e familiarità. Siccome aveva un po’
troppo fantasticato su ciò che voleva avvenisse senza conoscere il punto di vista della ragazza, per un po’ le cose proseguirono
come erano iniziate senza che nessuno dei due mostrasse l’intenzione di svelare
i propri sentimenti, poi fu la giovane ad aprirsi per prima confidando a
Marcello di voler troncare una storia in cui ormai non si riconosceva. Quel
giorno la corriera per Fiume arrivò a Mattuglie con venti minuti di ritardo, ma
nessuno parve accorgersene tanto meno gli abituali passeggeri della linea che,
osservando sogghignanti i visi radiosi dei due giovani, intuirono che qualcosa di importante era
successo tra le bottiglie di Terrano ed i prosciutti appesi alle travi del
soffitto dell’osteria. E pazienza se avevano perso la coincidenza per Abbazia!
Marcello e Concettina andarono a
convivere presso il seminario di Pisino e Salvatore, dopo due giovedì in cui la
ragazza non si era palesata, decise di raggiungerla con intenti bellicosi ma
poi, arrestatosi alla locanda dei Peruzzi offrì da bere a degli abituali
frequentatori e venne a conoscenza di
ciò che era successo: non gli ci volle molto per far sciogliere le loro lingue ma
si mise il cuore in pace riconoscendo che, se Concettina
avrebbe potuto usare un minimo di tatto e congedarlo almeno con un discorso di
circostanza, anche lui non si era comportato correttamente scordandosi della
focosa siciliana nei momenti in cui si trovava tra le braccia di un’appassionata, giovane fiumana.
Commenti
Posta un commento