Uskok 16

  

USKOK 16

Catina era molto impegnata con il suo nuovo lavoro, ma nei rari momenti di tranquillità ricordava con nostalgia la  travagliata storia d’amore e le circostanze che avevano brutalmente interrotto quel romantico idillio.

Prima che accadessero i tragici eventi di Radkersburg sperava di poter convincere i propri genitori ad accettare Liberato nell’ambito della famiglia e ad accoglierlo con benevolenza. D’altra parte la  situazione economica del giovane non era così disastrosa come la dipingevano ed il tempo avrebbe sistemato ogni cosa. Dal canto suo il giovane, durante una breve licenza, le aveva promesso che, appena possibile, si sarebbe recato dai futuri suoceri per convincerli delle proprie buone intenzioni e del proposito di incrementare le proprie entrate perché, in ultima analisi, tutto dipendeva da questo.

Liberato prestava servizio presso il Novantasettesimo reggimento di fanteria che era composto da triestini, istriani della costa e dell’interno, sloveni e croati del Carso e da qualche dalmata.   Lui ed i suoi commilitoni, dopo avere affrontato le truppe del generale Cadorna sul confine occidentale,  furono destinati in Galizia e qui si scontrarono con i russi che alla fine ebbero la meglio. Il reggimento fu decimato, oltre la metà dei componenti restarono uccisi e l’altra metà rilasciata dopo un periodo di prigionia e lunghe peregrinazioni in giro per il mondo. Fortunatamente lui si salvò dalla carneficina, ritornò nei ranghi dell’esercito e fu momentaneamente destinato a Radkersburg in attesa di una nuova assegnazione.

Quando iniziò a circolare la voce di un nuovo intervento in Galizia,  gran parte degli appartenenti all’unità militare si ammutinò: tutti desideravano ritornare a casa ed avevano ben presente  ciò che era in precedenza successo in quelle terre lontane.

Liberato si distinse per la sua veemenza,  fu uno dei ribelli che più si misero in luce e come tale gli furono addossate gran parte delle responsabilità per quella, a parere dei superiori, vergognosa insubordinazione.

Catina  comunque ricevette un resoconto lacunoso dei fatti: non era stata svaligiata alcuna cassaforte ed il suo amato aveva subito la pena capitale perchè lo considerarono uno dei capi della rivolta. Negli anni successivi di  questo episodio si scrisse e si parlò molto: gli insorti diventarono sostenitori di cause nazionali, di rivendicazioni etniche, addirittura si affermò che gli istro veneti erano morti inneggiando all’Italia e gli sloveni ed i croati  ad un ancor non costituito regno degli slavi del sud, ma in realtà si trattò di una insubordinazione, a conflitto quasi concluso e con l’impero in stato pre-agonico,  per degli ordini scellerati che avrebbero definitivamente annientato il  reggimento.

Esso fu vilipeso od osannato a seconda delle convenienze: quei soldati  avevano semplicemente compiuto sino in fondo il proprio dovere, si erano immolati al servizio dell’impero ed ora reclamavano un minimo di considerazione per non diventare, ancora una volta, carne da macello. L’imperatore Francesco Giuseppe era morto nel 1916 e Carlo, il suo successore, avrebbe chiesto l’armistizio se solo i suoi generali glielo avessero permesso, ma era prigioniero di un apparato  che ancora sperava di poter in qualche modo sopravvivere. Evitò comunque che altre fucilazioni avvenissero per cui persero la vita solo i cinque più turbolenti che si erano maggiormente esposti tra cui appunto Liberato.

La disciplina portata alle estreme conseguenze servì soltanto ad aggravare una situazione già compromessa e non arrecò  alcun  beneficio  all’impero: a conti fatti tre slavi insieme ad un goriziano ed un istriano di madre croata e padre istro veneto furono giustiziati soltanto per aver espresso il desiderio di  poter fare ritorno a casa evitando ormai inutili carneficine.

Diventarono degli eroi, alla fine del conflitto e dopo la resa dei conti, senza averlo preteso né immaginato, sostenitori di una causa a cui erano estranei: persone semplici e schiette  travolte da un destino avverso.

Dopo la fine del conflitto all’amministrazione austro ungarica si sostituì quella italiana e le cose mutarono di parecchio per la maggioranza di una popolazione che aveva perso gran parte dei propri giovani in un disastroso conflitto. Nuovi funzionari si insediarono nei centri maggiori con il solo desiderio di ridurre al minimo la propria permanenza in una sede che spesso consideravano disagiata se non addirittura punitiva. Un’amministrazione severa, ma imparziale ed onesta, fu rimpiazzata da una “più creativa” che adattava le regole e le leggi all’interpretazione personale ed alle simpatie o antipatie nei riguardi del soggetto che le avrebbe dovute rispettare. Comunque gli abitanti di queste terre si adattarono come si erano in precedenza adattati ad altre situazioni   e, come avevano in precedenza lealmente rispettato le direttive provenienti da Vienna, ora rispettavano quelle di Roma. Il centro di gravità si spostò dal cuore dell’Europa alle tiepide acque del Mediterraneo e fu un cambiamento epocale.

Una delle imposte più odiate fu quella sugli alcoolici, che prima non esisteva,  e si generò così un mercato parallelo fatto di acquisti clandestini di vino, distillerie segrete di grappa e vendite sottobanco.

Catina, in quanto gerente di una trattoria, subì spesso dei controlli da parte di finanzieri che sapevano chiudere un occhio, nel caso entrambi,  e transigere quando si presentava una situazione per loro favorevole dalla quale potevano trarre profitto

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