Uskok 15
USKOK 15
Durante il periodo napoleonico le
miniere di Càrpano furono oggetto di due decreti che in pratica regolamentavano
ciò che già era in atto da decenni: si mantenne dunque lo statu quo.
Le cose si complicarono sotto gli
Asburgo perché, aperti nuovi pozzi a Vines ed in altre località del circondario
di Albona, i due gruppi di finanziatori che avevano manifestato interesse allo
sfruttamento dei giacimenti entrarono in conflitto tra loro danneggiandosi
reciprocamente e tentando di corrompere i funzionari di Vienna. I minatori più
giovani e validi erano contesi tra le due fazioni e lusingati con promesse, non
sempre mantenute, di facili guadagni e migliori condizioni di lavoro. La
confusione regnava sovrana a scapito sia degli uomini impiegati, che ormai
assommavano a diverse centinaia, che delle donne e dei ragazzini che si
occupavano della cernita dei materiali e del trasporto in superficie con
pesanti carrelli.
Gli incidenti purtroppo erano all’ordine
del giorno e non esisteva alcuna norma di sicurezza: semplicemente si
ritenevano inevitabili come l’alternarsi del giorno con la notte per cui quasi
ci si meravigliava che non accadessero più di frequente.
Dopo un tentativo di fusione tra i due
gruppi rivali, che non ebbe molto successo, si decise di affidare l’estrazione
del combustibile fossile ad un nuovo consorzio che investì parecchio denaro.
Alvise ed il cugino Pietro avevano fatto
la loro parte sia presso la miniera di Càrpano che in altre della zona ed ora,
si fa per dire perché da minatori si erano trasformati in attivi
contadini, godevano del meritato riposo
a Cepich mentre i figli maschi continuarono la tradizione di famiglia sotto un
diverso padrone. Tutti tranne Liberato,
il più giovane, che aveva preferito trovarsi un’occupazione meno pericolosa:
avendo, a differenza degli altri fratelli, il grado d’istruzione necessario si
era fatto assumere in posta trasferendosi a Pola.
Quando iniziò a corteggiare,
corrisposto, la bella Catina, la maggiore dei
sei figli di Bortolo dimoranti nelle campagne di Pisino i parenti di
lei, che non erano benestanti ma ritenevano di essere sulla buona strada per diventarlo
combinando matrimoni di interesse e tessendo complicati intrighi per
accaparrarsi nuova terra, si opposero alla relazione e tentarono in ogni modo
di ostacolarla. Ma a vent’anni è arduo, se non addirittura impossibile,
arginare le passioni e dominare i sentimenti per cui Liberato e la ragazza
continuarono a frequentarsi in un luogo fuori mano poco distante dal sentiero
che da Cepich mena a Susgnevizza dove risiedeva una zia di Catina che li
assecondò favorendo i loro incontri. Se per qualche motivo non riuscivano a rispettare
gli appuntamenti i due si lasciavano dei
messaggi d’amore sotto un grosso sasso ai piedi di un alto ciliegio che nella
stagione propizia ed ad anni alterni si riempiva di frutti.
Le cose andarono avanti così per un paio
d’anni senza che i genitori di Catina sospettassero nulla ed anzi commossi per
l’inaspettata e per certi versi incomprensibile dedizione della loro figliola
nei riguardi di quell’anziana parente
sola e malata che mai aveva avuto dei corteggiatori perché zoppa e leggermente
ingobbita. La zia era affezionata alla nipote e desiderava che almeno lei
potesse godere di quelle soddisfazioni, materiali o spirituali che fossero, di
cui purtroppo non aveva potuto beneficiare in gioventù.
Avevano già subito i genitori di Catina
la perdita, perché tale la consideravano, di un figlio che, invece di coltivare
la terra ed adoperarsi per acquisirne di nuova, aveva preferito unirsi ad una squadra di operai, in maggioranza
italiani, che avevano seguito un
ingegnere romano imbarcandosi per l’America del Sud, su invito del governo
argentino, per bonificare una zona
paludosa del Rio Grande.
Questo fratello, il minore della nidiata,
era l’unico con cui Catina si confidasse e quindi l’unico che fosse al corrente
della tresca che si dipanava all’insaputa dei severi genitori. Jose partì per
l’Argentina prima dello scoppio della grande guerra e per un po’ mantenne un contatto epistolare
sia con la sorella che con la famiglia per poi dileguarsi nelle sterminate pianure
della Patagonia.
Il legame tra Catina e Liberato si faceva
ogni giorno più forte anche se era puramente platonico, ma i loro incontri si
erano purtroppo diradati dopo l’improvvisa morte della zia di Susgnevizza.
Passavano settimane senza che alla giovane fosse data la possibilità di uscire
di casa se non per brevi periodi o di allontanarsi dall’orto di famiglia.
Questo perché il padre e la madre ora erano diventati sospettosi e quindi
ritenevano sconveniente che lei lasciasse l’abitazione senza uno scopo né una
meta precisi.
Raramente raggiungeva i fratelli nei
campi portando loro il pranzo ed in queste occasioni deviava verso il ciliegio sicura di trovare,
sotto il masso, uno scritto dell’amato che, di ritorno da Pola, passava di lì
prima di raggiungere la propria abitazione. Se trovava il messaggio con un
cuoricino un po’ sbilenco riusciva a tranquillizzarsi per un paio di giorni, se
non rinveniva nulla faceva ritorno a casa trafelata e piangente.
Sua madre aveva intuito qualcosa, ma era meno rigida del
padre per cui lasciava correre e, pur vigilando sul comportamento della figlia,
riteneva che non fosse necessario aumentare una sorveglianza che aveva già
raggiunto limiti estremi soprattutto perché gli altri rampolli, maschi o
femmine che fossero, erano liberi di
scorrazzare per i dintorni senza limiti né costrizioni: c’era il pericolo che
Catina tirasse fuori il lato più nascosto del
proprio carattere, tutt’altro che docile ed accomodante, arrivando a
compiere gesti estremi e ribellandosi apertamente.
Quando scoppiò la prima guerra mondiale il
giovane impiegato postale entrò a far parte dell’esercito austro ungarico e fu
mandato, con altri commilitoni, a
presidiare la cassaforte del comando di stanza nel castello di Radkersburg presso il fiume Mura.
Purtroppo alcuni sediziosi, in zona la situazione non era molto tranquilla,
riuscirono ad impossessarsi delle paghe dell’esercito ed i militari di guardia furono
fucilati per mancata sorveglianza.
Il giovane istriano venne fucilato
insieme ad altri quattro commilitoni e la notizia arrivò velocemente in Istria: uno scarno comunicato che sconvolse i fedeli sudditi
dell’imperatore Carlo che si era attivato per scongiurare altre esecuzioni.
Catina non voleva rassegnarsi a ciò che
era accaduto e, senza una meta precisa né un piano prestabilito, fuggì di casa
per raggiungere quella Radkersburg di
cui non conosceva nemmeno l’esatta ubicazione nella vastità di un impero che si
stava disgregando. La città si trova al confine meridionale della Stiria, ma
questo non equivaleva ad avere ben chiara la strada da seguire.
Chiedendo vari passaggi arrivò a Lupogliano che non era molto distante dal
punto di partenza e qui si perse nelle campagne seguendo indicazioni
contradditorie ed in preda alla più nera disperazione. Rendendosi conto di non
poter raggiungere, in quelle condizioni, la meta prefissata ritornò sui propri
passi giungendo nei pressi del ciliegio che aveva fatto da sfondo ad un amore
intenso e contrastato. Ma la pianta non c’era più: abbattuta da un fulmine
durante un temporale giaceva sventrata sul terreno in parte coprendo il sasso
dei dolci messaggi d’amore.
Seguivano intanto le sue tracce due suoi
fratelli che, dopo lunghe ricerche, riuscirono a rintracciarla nei pressi dell’
abitazione di quella zia dall’animo gentile che, unica insieme a Jose, era
riuscita a comprenderla e sostenerla. Essi la costrinsero a tornare sui propri
passi relegandola in casa per più di un anno sino al drastico intervento del
padre esasperato per una situazione che
stava distruggendo la pace familiare: c’era infatti chi la capiva e cercava di consolarla e chi la
considerava invece un peso morto. Egli riuscì con un intrigo a fin di bene e
per le vie spicce a renderla docile e
sottomessa, rassegnata a seguire il proprio destino. Fu data in sposa ad un
vedovo benestante che, avendo fatto
fortuna sulle navi del Lloyd austriaco
come ristoratore, aveva aperto
una locanda nel comune di Pisino: non possedeva terreni, ma era serio,
affidabile e con un’ottima rendita dovuta all’esercizio commerciale oltre ad
essere perdutamente innamorato della giovane.
Egli aveva perso la moglie, suicidatasi
per oscure ragioni e si trovava a dover crescere un maschio ed una
femmina, poco più anziani di Catina, che
mai l’accettarono come madre e nei primi
anni di quella forzata convivenza le furono apertamente ostili. D’altra parte
la giovane si era quasi rassegnata avendo compreso che mai le sarebbe capitato,
in futuro, di riprovare dei sentimenti
così profondi per una persona
come quelli che aveva provato in età giovanile e con grande spirito di
adattamento si era fatta più remissiva. Il vedovo, a conti fatti, aveva buon
carattere e non le era completamente indifferente anche se provava emozioni
contradditorie nei suoi confronti: non vera passione, ma comunque dedizione, affetto e riconoscenza verso una persona retta ed
onesta.
Si trovò così a gestire, da sola e senza
esperienza, un’attività complessa senza l’aiuto del marito, che si era nel
frattempo gravemente ammalato, cercando di sfruttare i vantaggi di una
condizione sotto certi aspetti favorevole e comunque non modificabile. Non si
lasciò piegare dagli eventi e, nel giro
di pochi anni, ampliò la locanda aggiungendo a ciò che già esisteva un ampio
porticato, un’ennesima sala ristorante e
parecchie stanze per gli ospiti al piano superiore: Pisino, la Mitterburg
dell’impero, era pur sempre un trafficato centro di passaggio tra l’Istria
occidentale con gli importanti paesi della costa, quella orientale ed il golfo del Quarnaro con Fiume e le rinomate località di
villeggiatura di Abbazia e Laurana.
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