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La Serenissima era abbastanza tollerante nei riguardi della prostituzione femminile, un po’ meno verso l’omosessualità che cercava in ogni modo di arginare. A Venezia esisteva un edificio, un lascito testamentario da parte di un nobile defunto, in cui vivevano, quasi segregate, parecchie fanciulle dai facili costumi ed anche qualche vecchia carampana in disarmo che potevano esibire liberamente, affacciate verso una calle secondaria,  le loro mercanzie per adescare i passanti.

La faccenda non dava scandalo, al massimo qualche rimbrotto della Chiesa, perché il Gran Consiglio aveva deliberato in tal senso ed i marinai, dopo mesi di navigazione, avevano due possibilità: accoppiarsi tra loro o sfogare le pulsioni represse una volta arrivati in laguna. La Serenissima provvedeva anche al benessere psico-fisico dei propri naviganti!

Sotto l’Austria si seguivano regole diverse ed il clero aveva maggior voce in capitolo per cui la prostituzione era in ogni modo ostacolata e, se qualche eccezione qua e là esisteva, erano episodi marginali.

Nella parte dell’Istria assoggettata a Venezia, senza raggiungere gli eccessi della città lagunare, vigeva una benevola tolleranza per cui le meretrici che lavoravano discretamente senza dare noia ai benpensanti con comportamenti volgari o squallide esibizioni non trovavano ostacoli nell’esercizio della loro antica professione.

Si assisteva così ad un continuo via vai  di vecchi e giovani allupati nei giorni feriali, ma specialmente nei dì di festa, verso alcune località che erano diventate famose per i diversivi che vivacizzavano un’esistenza per il resto misera e monotona.

Uno dei principali centri di ricreazione  era a Montona: la cittadina, essendo molto vicina al confine, richiamava sia i sudditi della Serenissima che quelli dell’Austria.

Le miniere di Càrpano distavano una sessantina di chilometri, ma i minatori si sottoponevano volentieri ad una lunga trasferta perchè la merce che lì si poteva reperire non aveva eguali nelle più vicine Barbana, Dignano od Albona. La prima scelta non è rintracciabile  ovunque e se gli intrepidi cavatori non avevano la possibilità di raggiungere Montona ogni domenica, riuscivano comunque a spendervi, appena se ne presentava l’occasione, l’ultima fetta del salario. La famosa Vanda dai capelli rossi, le labbra turgide, il seno prorompente  e  gli occhi verdi smeraldo avrebbe potuto sistemarsi con qualche ricco mercante quando e come voleva, ma evidentemente quel lavoro le andava a genio e trovava naturale offrirsi a coloro che tanto l’apprezzavano e desideravano.

Era in condizione di potersi scegliere i clienti e, a parte i giovani più vigorosi e prestanti, spesso non disdegnava la compagnia di anziani meno gagliardi, ma più  appassionati, fascinosi e disposti a confidarsi. Aveva  dunque una duplice missione da espletare: appassionata amante e insostituibile confidente.

Comunque le sue prestazioni non erano certo a buon mercato e si narra di giovani minatori capaci di giocarsi l’intera paga di un mese solo per raccontare agli amici di averla posseduta. Esercitava in un piccolo edificio ai piedi della collina presso i boschi dove si raccoglievano i tartufi e non si concedeva per più di quattro volte al giorno:  l’eccessivo stropicciamento, affermava,  le avrebbe sciupato la pelle.

Avvicinandosi ai trent’anni ed avendo racimolato un consistente patrimonio, iniziò a programmare il proprio futuro e, da persona accorta qual era, decise di accalappiare un buon partito che le potesse offrire una vecchiaia serena ed agiata.

Giovanni era uno dei più assidui frequentatori della sua casa  e, se non fosse stato per i propri genitori, per lo zio Bartolo e per i fratelli, se la sarebbe sposata dopo il primo incontro.

Non era assolutamente uno sprovveduto, ma la giovane lo aveva conquistato non solo con la propria straordinaria avvenenza, ma anche per l’animo gentile e disponibile con cui approcciava il prossimo, pronta com’era ad ascoltare e saggiamente consigliare.

Le faceva la corte e lei  corrispondeva riservandogli un  trattamento di favore. Il giovane, tra le sue braccia, trovava non solo godimento materiale, ma anche intesa  spirituale.

Un animo sensibile, quello di Vanda,  che la cruda attività esercitata non era riuscito a deteriorare. Dal canto suo Giovanni non l’aveva mai considerata una prostituta, ma una bellissima donna che i casi della vita avevano costretto a comportamenti per certi versi riprovevoli.

Scoppiò naturalmente il finimondo:  i parenti  gli resero la vita impossibile, soprattutto quando la giovane  rimase incinta. Che fosse per opera sua o di un altro cliente al posseduto poco importava perché era talmente innamorato della giovane da non riuscire più a discernere i pochi vantaggi che la relazione gli avrebbe procurato dai ben più consistenti problemi, almeno sino a quando rimaneva  tra Rabaz, Albona e Càrpano.

I due si unirono in matrimonio spostandosi immediatamente  oltre confine, forse a Rude,   dove Giovanni  trovò lavoro presso la miniera di Santa Barbara.

Lì nessuno li conosceva e con il patrimonio accumulato da Vanda negli intensi  anni di lavoro e lo stipendio di Giovanni in qualità di tecnico minerario condussero una vita serena  allietata dalla nascita di un figlio dalle origini oscure, almeno per parte di padre.

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