Uskok 10
USKOK 10
Doretta e Grgur ebbero dunque cinque figli: tre maschi e due
femmine. Il più anziano, la secondogenita ed il quarto rampollo continuarono
l’attività dei genitori gestendo i tre spacci di generi alimentari, già da loro
avviati, a Barbana, Orsera e
Dignano sulla strada per Pola. Oltre ai centri maggiori servivano ampie
zone del circondario: case isolate i cui abitanti venivano a far provviste nel
capoluogo comunale.
Il più giovane dei fratelli seguì invece le orme dello zio
Bortolo e si impiegò in qualità di tecnico presso le miniere attorno ad Albona
mentre il terzogenito prese la via di Venezia e fece carriera
nell’amministrazione doganale della Serenissima trasferendosi in terraferma.
La repubblica veneta ora prestava più attenzione alle ricchezze del sottosuolo
non limitandosi a cavar pietre e ad assottigliare il patrimonio boschivo del
montonese: da poco tempo infatti i vetrai di Murano,
cessata ogni diffidenza, utilizzavano la
silice istriana per il loro lavoro. A Càrpano non era più solo la pece a farla
da padrona, ma si estraeva anche carbone
in quantità crescente ed il nucleo abitato andava espandendosi sino quasi a lambire le zone
acquitrinose. Era dunque necessario e conveniente aprire uno spaccio di
alimentari: infatti i minatori e le loro famiglie trovavano scomodo raggiungere
paesi lontani o approvvigionarsi dai contadini della zona e quindi occorreva
tener conto delle loro esigenze.
Questo progetto accese una disputa tra i tre fratelli che già
gestivano gli altri spacci: ognuno di loro riteneva di avere validi motivi per
potersi installare anche a Càrpano ed a nulla valsero gli sforzi di Doretta e
Grgur per appianare le divergenze e ristabilire la concordia.
Finì che un croato del circondario di Barbana, approfittando
dell’occasione favorevole e reperito il capitale necessario, ruppe gli indugi e
si stabilì nel centro abitato aprendo l’attività commerciale.
I tre fratelli accusarono il colpo e da quel momento,
incolpandosi a vicenda, ebbe inizio una vera e propria faida in cui non era più chiaro il motivo del
contendere, ma erano più che evidenti i
contrasti che ogni giorno funestavano l’armonia della famiglia.
Questioni che potevano essere risolte con un minimo di buon
senso alimentarono dispute sempre più accese che tenevano conto di ciò che era
accaduto in passato, ma anche di ciò che sarebbe potuto accadere in futuro.
Nuovi particolari, anche irrilevanti, andavano a riempire un recipiente già
colmo che alla fine debordò.
E furono problemi anche per Giovanni, quel figlio di Grgur
che aveva deciso di seguire le orme dello zio
Bartolo: lui cercava di mediare, ma era impossibile farlo tra persone
inchiodate alle proprie posizioni.
L’esercizio di Càrpano vendeva di più e incassava con più
facilità rispetto ai non lontani concorrenti perché nelle altre zone i clienti
erano per la maggior parte contadini squattrinati che saldavano i conti con
fatica e non acquistavano frutta ed ortaggi avendo tutti un orto a disposizione,
mentre i minatori potevano contare su salari certi, corrisposti puntualmente e necessitavano di
frutta e verdura che il croato reperiva dagli agricoltori della zona per poi rivendere.
In poche parole Giovanni, per mantenere buoni rapporti con
gli zii, avrebbe dovuto vietare ai
cavatori di fare acquisti presso lo spaccio di Càrpano il che era non solo
assurdo, ma anche inattuabile.
I minatori andavano dove erano più comodi ed a nulla valsero
i tentativi per screditare la qualità della merce del croato che era sveglio e
sapeva come conquistare le simpatie della clientela.
Allo spaccio affiancò un locale di ritrovo con osteria per
cui agli incassi dei giorni feriali si aggiunsero ben più consistenti introiti
nei giorni di festa e nelle ore serali e notturne.
In breve dal circondario iniziarono ad arrivare altri
avventori, estranei alle miniere, attirati dal buon servizio e dall’altrettanto
buon vino.
I tre fratelli negozianti, non sapendo fare di meglio,
montarono una campagna denigratoria nei confronti del concorrente: secondo loro
annacquava il vino e vendeva generi alimentari non freschissimi.
La menzogna, ripetuta più volte ed arricchita da nuovi
particolari inventati di sana pianta, spesso diventa verità assoluta.
Comunque in quei paesi dove non succedeva mai niente di
nuovo, essendosi da tempo esaurite le imprese degli uscocchi, una storia
confusa che coinvolgeva, oltre ad una delle famiglie più in vista del circondario, anche un ex contadino di padre croato e madre rovignese
arricchitosi con il proprio lavoro ed il
proprio acume, diventò argomento di conversazione quotidiana e motivo di accese
discussioni e prese di posizione spesso
immotivate.
Alla fine si scordarono i veri motivi che avevano innescato il
contrasto, la causa del contendere e si
tirarono in ballo questioni che nulla avevano a che spartire con l’originario
dissidio: c’era chi parteggiava per la
famiglia di Rabaz e chi invece si schierava a favore dell’oste per simpatie od antipatie personali.
Piccoli contrasti nascevano sporadicamente tra persone di
origine e lingua diverse: solo se qualcuno si metteva a soffiare sulle braci
nascevano dissidi più importanti in genere sanabili davanti ad una bottiglia di
Malvasia.
Bortolo ed il nipote, dopo aver per qualche tempo appoggiato
i congiunti, si defilarono e non ne vollero più sapere: già era difficoltoso
tenere a bada una torma di esagitati, spesso aggressivi ed ubriachi e di conflitti
ce n’erano parecchi in corso per cui
non era il caso di crearne di nuovi.
Comunque l’unico che riuscì ad estraniarsi completamente da
quelle baruffe fu il fratello emigrato a Venezia: in pochi anni divenne
un’autorità doganale della Serenissima e fu impiegato sul confine occidentale.
Sotto la sua giurisdizione finì anche la Ca’ San Marco, importante posto di
frontiera del bergamasco, che permetteva
alla città lagunare di esercitare i propri commerci con il nord senza
coinvolgere il ducato di Milano con le
sue esose gabelle essendo la Valtellina parte del canton Grigioni svizzero.
Altre dogane minori erano a Vercurago e Villa d’Adda, mentre a Mezzoldo era
situato il centro di controllo della Priula.
E proprio in quest’ultimo piccolo borgo il figlio di Grugur e
Doretta si stabilì dopo aver sposato una
graziosa ed energica fanciulla del posto
che gli regalò tre eredi.
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