Uskok 8

 USKOK 8

 

Mentre Eliza ed Ivan ancora risiedevano ad Ancona il chioggiotto, dopo un periodo di incertezza e smarrimento, era ritornato a Karlstadt per dissotterrare le due casse di preziosi occultate presso un torrente che scendeva  dai Gorianci.

Siccome la ricchezza apre ogni strada ed appiana ogni divergenza, non gli fu difficile trovare una bella casa nel centro della cittadina ed una prosperosa giovane da impalmare.

In età ormai avanzata decise di procurarsi anche un erede e si dannò l’anima per riacquistare quella virilità che credeva ormai perduta. Gli impacchi miracolosi di miura puama, giunta da chissà dove e le numerose preghiere della moglie al dio slavo della fertilità, compirono il miracolo ed il chioggiotto divenne l’orgoglioso genitore prima di un robusto maschietto e poi di una delicata femminuccia: i rimedi erano stati efficaci andando addirittura al di là di ogni più rosea aspettativa!

Cessato ogni pericolo, aveva infatti saputo della tristissima fine di Alvise incarcerato a Postumia, abbandonò quella terra che, sotto certi aspetti, non riteneva adatta ai propri bisogni ed alle proprie aspettative e raggiunse la costa istriana per stabilirsi in vista del medesimo  mare che bagnava anche la sua mai dimenticata Chioggia.

Dapprima prese casa a Volosca, sul Quarnaro, poi si trasferì presso Fianona ed infine, poco prima di morire, volle raggiungere Rabaz che ricordava con grande nostalgia per l’incredibile avventura, qui iniziata, che lo aveva portato a raggiungere i Gorianci insieme ad Eliza e alla candida Fiorina cui si era molto affezionato. Acquistò  quella che era stata, anni addietro, la casa della ragazza, vi prese dimora e qui trascorse gli ultimi anni della sua burrascosa esistenza.

Nel frattempo, mentre la figlia era rimasta con il padre sicura che prima o poi  il principe azzurro l’avrebbe raggiunta, Bortolo Sebastiano, il maschio, si era iscritto all’Università di Padova seguendo i corsi di mineralogia.

Tipo eclettico, curioso, con un piglio da esploratore, desiderava scoprire ed apprendere per cui era  diventato il pupillo dei suoi professori. Spesso compiva delle ricognizioni nell’Istria bianca, gialla e rossa per studiare l’ interessante morfologia del territorio e, su incarico di Venezia e con altri esperti, per scovare nuovi materiali da impiegare nelle vetrerie e nella cantieristica navale.

Non sorprende quindi che egli, su incarico della Serenissima, abbia ricevuto il mandato per mettere a punto lo sfruttamento intensivo delle miniere di carbone scavate nella valle del torrente Càrpano e per progettare lo sfruttamento delle sabbie silicee.

Il villaggio minerario, lambito dal corso d'acqua a volte minaccioso, ma spesso quasi asciutto, era quanto di più squallido si potesse immaginare ed il laghetto che si allargava o restringeva secondo le stagioni contribuiva a trasmettere una lugubre immagine di abbandono.

I pochi disgraziati addetti alle miniere vivevano in condizioni miserabili senza un luogo di ritrovo, a volte senza un rifugio sicuro in cui potersi riparare: entravano in miniera all’alba per uscirvi quando il sole stava ormai tramontando.

Bortolo ed alcuni  professori cercarono di organizzare quella masnada infelice, ma mancava la volontà, da parte della Repubblica di Venezia, di investire oltre lo stretto necessario per estrarre il bitume. Il materiale veniva  trasportato in fondo al canale d’Arsa e qui le navi, tirate in secco, venivano calafatate. Oppure  prendeva la via di Venezia e anche qui veniva impiegato per riempire le giunzioni tra le assi degli scafi.

Durante uno di questi sopralluoghi, in un giorno festivo in cui nessuno lavorava in miniera, Bartolo, Grgur e Nicola si incontrarono, com’era destino, sulla sponda del laghetto.

Il figlio del chioggiotto fu colpito dal modo in cui i due fratelli si presentarono: non erano i soliti minatori fiaccati da una vita di stenti, abbruttiti dal lavoro, per la  maggior parte semianalfabeti e con un lessico primitivo e limitato. Saputo  che arrivavano da Ragusa, si trattenne a lungo con loro. Affrontarono diversi argomenti, anche non strettamente legati alle miniere fintantochè, citando incidentalmente Fianona ed una delle più efferate imprese degli uscocchi, Bortolo si espresse, da buon suddito veneziano, in maniera inopportuna, almeno a giudizio dei due gemelli, nei confronti di questi  crudeli pirati.

I fratelli reagirono in malo modo svelando le proprie origini: “Siamo figli di due uscocchi e ne andiamo fieri perché solo loro hanno saputo difendere i cristiani contro i turchi e fermarne l’ espansione nei Balcani”. La conversazione diventò accalorata e nel medesimo tempo avvincente perché Bortolo aveva sentito tanto parlare degli uscocchi, della bellissima Eliza, della candida Fiorina e di quel mascalzone di Alvise.

Quando iniziarono a venire a galla  i nomi  dei protagonisti di quei racconti ognuno aveva una parte di storia da narrare ed i tasselli si stavano incastrando per trasformarsi in  mosaico.

Bortolo, senza farsi eccessivi problemi, riportò ciò che  aveva  saputo da suo padre, definì gli uscocchi superstiti come una cricca di visionari, affermò che mai si sarebbero potuti ricostituire in bande anche se era quello che qualche illuso vagheggiava.

I due fratelli avevano più volte sentito litigare i genitori e durante questi litigi erano saltati fuori gli stessi nomi che il figlio del chioggiotto andava sciorinando a dimostrazione che le sue non fossero fantasie, ma fatti concreti realmente accaduti. In  più occasioni sia Grugur che Nicola avevano infatti udito il padre infuriato rinfacciare ad Eliza certi trascorsi non proprio edificanti in cui aveva ceduto alle lusinghe di un certo Alvise da Venezia. Lo aveva definito gran ruffiano, profittatore, puttaniere  ed essere spregevole. La donna, la loro virtuosa madre, ne era uscita con le ossa rotte e non aveva replicato   quando il compagno l’aveva definita  con epiteti infamanti.

“Vostra madre Eliza abbandonò il covo degli uscocchi, che allora era Segna, in compagnia di un certo Alvise che apparteneva ad una ricca famiglia di Albona. Arrivata in città, per non creare problemi in quei tempi in cui I veneziani e gli austriaci erano ai ferri corti, fu confinata, o meglio reclusa,  in una casa di Rabaz da cui riuscì ad allontanarsi solo per portare soccorso ai suoi compagni dispersi sui Gorianci dopo la deportazione. Alvise la lasciò partire, anzi le riempì il carro di generi di prima necessità, perché si era accordato con dei sicari per ucciderla:  la sua presenza era diventata troppo ingombrante e portarla via da Segna era stato il  colpo di testa di un giovane concupiscente. Doveva soccombere anche mio padre, scomodo   testimone di ciò che era accaduto in Dalmazia. Come poi siano andate le cose non mi è ben chiaro, ma comunque altre persone furono uccise al loro posto  per un tragico equivoco. Vostra madre non tornò più ad Albona e, dopo aver raggiunto i compagni, riallacciò i rapporti con vostro padre, già erano stati amanti in quel di Segna ed insieme abbandonarono quel covo di pirati ormai inospitale”.

Il racconto aveva delle basi troppo solide per essere  inattendibile, comunque per i due gemelli fu una batosta di quelle che lasciano il segno che si aggiunse al dolore per la recente perdita delle famiglie.

Càrpano era compreso in una zona più vasta che richiedeva di essere bonificata. Più a nord esisteva un lago molto più esteso, il Cepich, che aveva come emissario un fiumiciattolo e veniva alimentato da sorgenti sotterranee. Il territorio era insalubre e gli abitanti spesso soggetti a febbri malariche.

La condizione precaria in cui vivevano i due gemelli non migliorò sino all’incontro con Bartolo: se per Nicola quell’incontro non ebbe effetti immediati Grgur, che non era più disposto a vivere in un tale stato d’indigenza ed aveva in parte superato la fase di profondo scoramento seguita alla perdita dei propri cari, si appiccicò al veneziano come  fosse un’ ancora di salvezza e gli chiese aiuto.

Il fratello si dimostrò sorpreso per questa decisione, per lui inaccettabile,  che si concluse con un’epica scazzottata, un violento litigio di cui per anni, in quella landa desolata dove non accadeva mai nulla di diverso dallo straripamento del laghetto o da qualche disgrazia in miniera, si discusse animatamente. Alcuni parteggiavano per Grgur, altri per Nicola non in base a delle valutazioni di merito o convenienza, ma secondo il grado di antipatia o affinità che ritenevano di avere nei confronti dei veneziani.

Comunque il fratello ribelle seguì Bortolo a Rabaz, nella vecchia casa già prigione di Eliza, e qui fu messo a servizio della famiglia che in quel momento la occupava, quella degli eredi del chioggiotto.

Doretta, la figlia del mercante ormai passato a miglior vita, iniziò da subito a pensare che il principe azzurro avesse finalmente trovato la strada di casa sua.

 

Commenti

Post popolari in questo blog

Livigno e la val Monastero cap. 15

LA GRANDE CASA SOPRA BELLAGIO CAP. 2