Uskok 7

 Uskok 7

 

Era destino che Eliza ed Ivan dopo i servigi resi, in quel di Ancona,  alla repubblica dalmata  si dovessero trasferire a Ragusa per assumere incarichi  più importanti.

Se la donna accettò di malavoglia il cambiamento, in poche settimane cambiò atteggiamento rouscendo   ad innamorarsi della nuova sistemazione, della gente del posto e soprattutto del singolare assetto di quel lembo di terra che sembrava perdersi nell’azzurro del mare: uno spicchio di costa, col suo minuscolo entroterra, in cui non mancavano né aride montagne, né fertili pianure, né ridenti isole e penisole e l’acqua  limpida  faceva risaltare ogni cosa.

Ragusa occupa infatti un posto  privilegiato nella Dalmazia meridionale, un microcosmo di rara bellezza che affascina anche il visitatore più disattento, più propenso magari a riempire lo stomaco od a mercanteggiare che a nutrire lo spirito. Regna una tranquilla sonnolenza che nemmeno gli indaffarati trafficanti di quegli anni riuscivano a guastare. Tutto  di dimensioni assai  ridotte come la sottile  penisola di Sabbioncello, la parte più consistente del territorio,  che  si protende verso nord  quasi fosse  l'ossuto dito di una mano rinsecchita  e corre per diversi chilometri parallela alla costa. Si ha l’impressione che la natura abbia voluto mettere in mostra il meglio di sé stivando in uno spazio esiguo una sequenza di meraviglie. Anche l’aria è quasi sempre trasparente ed il vento, che pure a volte scende impetuoso dalle montagne dell'entroterra, sembra voler accarezzare la terra piuttosto che creare disagio.

Niente di cui meravigliarsi se, in questo angolo remoto della Dalmazia, si siano ritrovati ed abbiano deciso di risiedervi stabilmente, illustri personaggi e se, da quel crogiolo di razze, sia nata una civiltà destinata a lasciare la propria impronta.

Ragusa certamente invidiava la più potente rivale, quella Venezia che, in un modo o nell’altro, interferiva nei propri traffici ma questo sentimento mai si tradusse in spirito di competizione fine a se stesso per emulare ciò che i lagunari avevano saputo, molto più a nord,  costruire bensì nella volontà di dar vita a qualcosa di diverso, meno appariscente, più adeguato al  carattere, a volte scontroso, degli abitanti. L’architettura delle case, le chiese, la fontana d’Onofrio, lo Stradun, la basilica di San Biagio  sono costruzioni sfrondate da ogni orpello, essenziali se paragonate al gusto veneziano: il superfluo qui non prevale sul necessario e sembra quasi che una mano  esperta,  ma nel contempo timida e pudica, abbia  voluto porre un freno agli eccessi.

A Ragusa, caso più unico che raro, non esisteva una lingua ufficiale: il patriziato, i notabili,  si esprimevano solitamente passando da un ottimo italiano alle parlate locali con la stessa naturalezza con cui si terminano i primi piatti di una tavola riccamente imbandita per addentare, senza soluzione di continuità,  i secondi più sostanziosi e meno sofisticati.

Quindi nessuna meraviglia se le persone venivano identificate con il loro nome di derivazione latina o slava o di altra origine, per poi vederselo storpiare o modificare con trascrizioni più o meno fantasiose.

Gundula per esempio diventava Gundulic’ o viceversa Vetrancic’ diventava Vetrani e così di seguito secondo le convenienze del momento e le simpatie dello scrivano.

Eliza ed Ivan si stabilirono definitivamente a Ragusa nella seconda decade del '600: la donna aveva all’incirca trent’anni ed il suo compagno altrettanti. Decisero di avere dei figli in quell’età che, per l’epoca,  poteva considerarsi avanzata ma solo ora si sentivano pronti avendo raggiunto un’ottima stabilità economica e finalmente stabilito delle comuni regole di vita. Dalla loro unione nacquero due gemelli maschi che riuscirono ad incrementare le entrate ed il conseguente prestigio della famiglia senza mai spostarsi da Ragusa e dal suo minuscolo territorio.

Caratteri diametralmente opposti quelli dei due fratelli ed aspetto altrettanto diverso: Grgur era biondo con gli occhi azzurri, un tantino ribelle e di rado seguiva i consigli dei genitori; Nicola bruno e con gli occhi scuri era più attaccato alla famiglia si credeva il nobile discendente di una schiatta di valorosi, 

Essi comunque divennero adulti nel culto della gente uscocca, o almeno questo cercarono di inculcar loro i due genitori seppur con risultati diversi.

Intorno alla metà del secolo un terribile terremoto devastò la repubblica infliggendo un duro colpo alle attività mercantili. I morti furono più di 5000, circa la metà della popolazione,  ed i sopravvissuti cercarono scampo altrove.

I due fratelli Grgur e Nicola si erano accasati da poco e persero entrambe le famiglie ed entrambi i genitori. Si salvarono solo perché, durante le maggiori scosse, erano in missione sull’isola di Curzola e qui i danni furono più limitati. Vista la situazione ed in preda allo sconforto più nero  decisero di  lasciare la città per trovare fortuna altrove. In quel periodo non c’era  molto da scegliere: o imbarcarsi sulle navi di qualche stato rivale, in primis la Serenissima,  o cercar fortuna in terraferma.

Si allontanarono il più possibile da quel luogo di disperazione che era, suo malgrado, diventata Ragusa. Giocarono un ruolo determinante lella loro decisione alcuni amici mercanti di origine istriana che se li caricarono su quel che rimaneva delle loro imbarcazioni facendo rotta verso nord senza una meta precisa da raggiungere nè un'occupazione decente da proporre: vagarono per giorni e giorni sino ad arrivare nel porto di Albona ove furono ospitati in abitazioni di fortuna da persone di buon cuore  Ma non volevano approfittare della carità altrui e, dopo un paio di settimane, decisero di impegnarsi in un qualsiasi lavoro che desse loro l'opportunità di sopravvivere, un'occupazione faticosa che non lasciasse il tempo per pensare alla tragedia che si era abbattuta sulle loro case ed a ciò che avevano irrimediabilmente perduto.

In quegli anni Venezia aveva attivato delle miniere di carbone nella valle del torrente Càrpano: usava questa sostanza naturale principalmente per produrre catrame per il calafataggio delle navi. Decisero di presentarsi in miniera e vennero subito assunti perché non erano molte le persone disposte ad affrontare un lavoro così pesante e pericoloso.

Si trattava infatti di un’occupazione estremamente faticosa in un ambiente ostile presso un piccolo lago paludoso e malsano, incuneato tra le rocce,  in cui si rispecchiavano luride catapecchie abitate, per le poche ore destinate al riposo, da un’umanità dolente.

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